Abbiamo analizzato, avvalendoci anche della statistica, il sistema del quick change. E abbiamo scoperto che se ne può fare a meno.
Quick change: è davvero la soluzione a tutti i mali?
Prossima gara
-
15 Febbraio 2025
Pomposa Endurance Winter Series
Circuito di Pomposa, Comacchio (FE)
Partiamo da un presupposto: questo articolo nasce dalla volontà di dare spunti per migliorare una categoria la quale, checché se ne dica, ha già molti aspetti positivi. L’endurance infatti è l’unico settore del karting che gode di buona salute, dal momento che permette a tutti, ma proprio a tutti, di entrare a far parte del mondo del motorsport.
Mentre i team crescono in numero e dimensioni, non sono molte le persone che avanzano proposte di miglioramento; noi invece, che abbiamo esperienza e competenze oltre che molto a cuore questa categoria, senza la quale non saremmo mai entrati nel motorsport, abbiamo fatto alcune osservazioni.

Agli albori dell’endurance la regola era molto semplice: ti veniva assegnato un kart alla mattina, e te lo tenevi fino a sera; nessuno protestava, e se c’erano problemi si andava in assistenza tecnica a proprio rischio e pericolo: ti veniva dato un muletto meno performante durante l’analisi e l’eventuale riparazione, dopodiché rientravi col tuo kart.
Da allora però sono passati più di quindici anni, la categoria si è sofisticata notevolmente, e i team protestano regolarmente per le differenze tra i kart. Per questo motivo gli organizzatori hanno iniziato a turnare i kart fra i vari team, arrivando a cambiarli a ogni sosta ai box per omogeneizzare la prestazione. Ma siamo sicuri che sia questa la strada giusta?
Analizziamo la questione per punti:
1 Il meccanico deve aver fatto i compiti per casa
Cambio kart o non cambio kart, il primo requisito è che la meccanica sia in ordine. Da qui non si scappa, e su questo c’è da dire che ci sono organizzatori molto bravi, altri meno: il fatto che non si possano livellare del tutto le prestazioni non significa che allora tanto vale provarci.
È impossibile che i kart siano tutti uguali, ma dal momento che ci sono strutture in grado di mettere 30 mezzi in 0,3 – 0,5 secondi vuol dire che si può. E se non è così, i piloti lo noteranno subito.
2 Bisogna saper fare autocritica
Il vincitore è uno solo, e se siete arrivati dietro potrebbe essere perché siete scarsi. Magari non i più scarsi, ma qualcuno oggi è stato più bravo di voi; bisogna imparare ad ammetterlo, e a cercare le risposte ad un risultato sotto le aspettative dentro il proprio box prima di guardare fuori. E a volte guardarsi dentro due volte mettendo da parte l’orgoglio può dare risposte inaspettate e scomode.
Potrebbe non essere stata la vostra giornata, succede a tutti. La prossima volta potrà andar meglio (ma non date per scontato che succederà).

3 La statistica è una brutta bestia
Adesso accendete tutti i neuroni, è ora di fare i conti; ipotizziamo che in un anno facciate 10 gare, e che il 20% dei kart della flotta che analizziamo abbia prestazioni sotto la media.
- Col cambio kart: in ogni gara il 20% dei turni sarà probabilmente condizionato, mettiamo 2 turni su 10. Alla fine della stagione avrete 10 risultati condizionati per il 20% dalla flotta di mezzi.
- Senza cambio kart: 2 gare su 10 saranno probabilmente condizionate, ma 8 saranno pure e cristalline. Il 20% dei risultati è condizionato.
In poche parole, in entrambi i casi il condizionamento è uguale, il 20% sul totale. A fine stagione non cambia assolutamente niente, soprattutto se si fanno più gare, tipo una decina, o anche solo cinque (cosa assolutamente normale per il 99% dei team). Più grande è il campione di gare analizzato, minore sarà l’impatto della percentuale di mezzi anomali.

Obiezione 1: col cambio kart si può – appunto – cambiare kart e ridurre il condizionamento. Attenzione! L’effetto è molto meno incidente di quel che si pensa, e l’incidenza diminuisce all’aumentare delle dimensioni della flotta. Ipotizziamo che il 20% dei kart non sia regolare e di aver preso un kart che non ci soddisfa:
- Con una flotta di 10 kart e 2 kart anomali abbiamo una probabilità di prendere un altro kart anomalo pari a 1 (kart difformi rimasti) / 9 (kart totali rimasti): 11%, ossia la probabilità di prenderne un altro è quasi dimezzata.
- Con una flotta di 20 kart di cui 4 anomali: 3/19 = 16%.
- Con una flotta di 30 kart di cui 6 anomali: 5/29 = 17%.
- Con una flotta di 40 kart di cui 8 anomali: 7/39 = 18%.
Obiezione 2: l’influenza dei kart anomali non dipende dal numero di turni, ma dalla durata dei turni in cui questi kart vengono usati. Vero, ma non del tutto: il numero di cambi obbligatori associato al limite del tempo di pista per ciascun turno permettono un numero limitato di turni brevi ai quali devono corrispondere altrettanti turni lunghi. E se si sono esauriti i turni brevi nelle prime fasi di gara, lo stratagemma può rivelarsi altamente controproducente costringendo il team a tenere un kart lento per uno o più turni lunghi.
Obiezione 3: teniamo a mente che stiamo parlando di probabilità, ossia la possibilità che un evento si verifichi. Non è detto che succederà, ma c’è una certa probabilità che avvenga; insomma, se uno è fortunato e prende sempre mezzi buoni, non ci si può far molto.



4 Domande filosofiche
- Quante categorie automobilistiche prevedono di scambiarsi i mezzi tra piloti di team differenti?
- Pensate davvero che anche nei team di F1, o qualsiasi altra categoria, i mezzi siano uguali?
Se dite di sì abbiamo brutte notizie per voi, dato che ogni mezzo è diverso, così come ogni pilota e di conseguenza lo stile di guida. - E se la differenza di prestazione fosse dovuta alla capacità di adattamento, e/o all’incontro del pilota con un mezzo più in linea col proprio stile di guida?
- Che non fosse la vostra giornata l’abbiamo già detto?

5 Conclusioni
Abbiamo analizzato la questione in modo semi-serio, ma il quadro che ne emerge è piuttosto chiaro: il cambio kart è solo un effetto placebo che non elimina il problema della differenza di prestazione, semplicemente ne cambia la percezione.
Il quick change è un po’ come quando si compra qualcosa a rate, l’ammanco finale è lo stesso quando va bene.
Il cambio kart è solo un effetto placebo che non elimina il problema della differenza di prestazione, semplicemente ne cambia la percezione.
Un ritorno alle origini potrebbe riportare degli elementi competitivi e di contorno che nelle gare mancano da un po’:
- La strategia sui rifornimenti, che in più occasioni ha decretato rimonte o disfatte totali — e qui si parla di effetti tangibili, non percezioni!
- La possibilità per chi sta nelle retrovie di sfruttare il sorteggio per costruire una volta tanto un risultato più appagante, anziché avere sempre i soliti 2-3 team davanti;
- La personalizzazione dei mezzi, con le luci notturne e gli adesivi colorati; ad un certo punto, pensate, si era valutato di istituire premi per le livree, prima che tutto questo fosse spazzato via.
A questo punto, il processo mentale che bisogna avviare non è semplice, ma possibile. Basta volerlo:
- Bisogna accettare che il livellamento totale è impossibile, e oltre un certo limite (i già citati 0,3 – 0,5″) è addirittura controproducente spingersi: il risultato non ripagherebbe lo sforzo necessario.
- È indispensabile capire che non tutte le gare vanno come si vorrebbe, e in tutti gli sport ci sono fattori esterni che concorrono al risultato – è una metafora della vita dopotutto;
- È possibile impegnarsi per un cambiamento che può portare solo beneficio allo sport.
E allora perché continuare ad auto-convincersi che così è meglio e complicarsi la vita coi cambi kart?
Non converrebbe a tutti liberarsi definitivamente di un esperimento che, dati alla mano, non porta un beneficio reale, ma solo una percezione distorta?
