Racing

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Hanno ancora senso di esistere gli amatori?

Una serie di riflessioni maturate di gara in gara

Qui parliamo di: Amatori, Considerazioni, endurance
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  • 9 Novembre 2024

    Pomposa Endurance Awards 2024

    Circuito di Pomposa, Comacchio (FE)


Il mondo del kart rental continua a crescere: sempre più strutture che si attrezzano, sempre più gare, sempre più partecipanti. Oggi vogliamo parlare proprio di questi: il bello di questa categoria è che nello stesso schieramento si possono trovare team di calibro mondiale con esperienza in settori ben più importanti, così come gruppi di amici – talvolta anche di una certa età – che condividono una passione.

Da quando le prime posizioni delle gare sono diventate appannaggio di team che potremmo definire “superdotati” (di talento, risorse economiche e soprattutto tempo), le strutture si sono organizzate per dare una possibilità ai cosiddetti amatori (spesso abbreviati in “Ama”) ma, non è ormai più un mistero, anche i podi di queste categorie ormai sono diventate appannaggio di team che di amatoriale hanno ben poco.

Andiamo dritti al dunque: in base a quali criteri si distingue un team pro da un team di amatori?
La distinzione si può basare sostanzialmente secondo due criteri: la bravura e l’esperienza; entrambi i criteri presentano delle falle, e dunque distinguere pro e amatori all’interno degli schieramenti sarà sempre un problema perché:

  • Esistono team con tanta esperienza, ma dalle prestazioni mediocri;
  • Esistono team molto giovani che però sono velocissimi.

I team possono essere costituiti da talenti puri (tipo i nostri Turato e Dal Pezzo) che appena salgono sul kart, anche dopo mesi, riescono a registrare ottimi tempi; oppure da piloti con meno talento ma che, con tanto impegno e a suon di allenamenti riescono a portarsi allo stesso livello. Se però un pilota ha capacità mediocri e non può essere in pista ogni settimana, allora è destinato all’oblìo delle classifiche. Giusto così? Sì, se consideriamo una classifica assoluta. No, se consideriamo che ad un qualche punto (arbitrario) della classifica si decide che da lì in giù si è “amatori”.

A questo punto entra in gioco una terza variabile: la disponibilità economica. Ci sono team neonati che, per sponsor, possibilità o per deviazione mentale orientata al risultato, sono in pista più volte al mese, mentre ci sono altri team – come noi – per cui una gara al mese è sufficiente – aggiungendo eventualmente un secondo evento, turnando gruppi di persone diverse. Quindi all’appena citata questione economica va aggiunta una variabile tanto importante quanto intangibile: la disponibilità di tempo. C’è chi ha un lavoro impegnativo, chi mette su famiglia, chi ha anche altre passioni. Insomma, ci sono un sacco di motivi sacrosanti per cui un pilota può avere altro da fare nella vita, anziché stare seduto su un kart.

La domanda sorge spontanea: come si distinguono amatori e pro considerando queste variabili?

  • Si tiene traccia in modo oggettivo dell’esperienza dei piloti, ad esempio basandosi sulle tabelle Sws, un po’ come succede nel Wec? Troppo complesso.
  • Si divide a metà lo schieramento in base ai risultati nelle sessioni (qualifica/gara), come sperimentato da Pistarossa?
    Fattibile, ma c’è troppa differenza di trattamento tra l’ultimo dei pro e il primo degli amatori.
  • Si impongono regole differenti tra pro e amatori (numero soste, peso minimo)?
    Non è corretto, dato che così si possono avere piloti da mondiale tra gli amatori.
  • Si lascia totale libertà di scelta ai team sulla base della loro coscienza.
    [Risata fragorosa].

Sostanzialmente, per una divisione pro/amatori efficace servirebbero dei parametri oggettivi. Ma, in un settore in cui il numero di variabili è enorme (basti pensare alla varietà di background dei piloti, ed alla mancanza di uno storico al di fuori del ranking Sws), è davvero molto complesso trovare una soluzione che, probabilmente, non sarà mai soddisfacente. In pratica, lo stato attuale delle cose.

Il nostro punto di vista

Non siamo qui a protestare perché vogliamo vincere la coppetta di latta. Non è nel nostro stile.

Infatti, a parte l’esperimento Summer Series 2024, abbiamo sempre corso nella categoria pro per una sorta di protesta silenziosa e gli unici trofei vinti da amatori, li abbiamo vinti quando la categoria non l’abbiamo scelta noi.

Quello che non possiamo accettare è che, mentre stanno proliferando team con strutture e budget sempre più elevati, il vero cuore pulsante delle gare endurance – gli amatori, appunto – venga preso in giro andando a premiare come “amatori” squadre che ormai vivono in pista trascurando, invece, altri parametri alla portata di tutti i partecipanti.

Per quanta passione possa esserci, disputare più di una o due gare al mese non può essere considerato un approccio da amatori.

Una possibile soluzione

Ma è proprio necessario dividere lo schieramento in gruppi? I kart sono uguali (dai non polemizzate anche qui), la pista è la stessa, la gara ha la stessa durata. È proprio necessario fare due premiazioni? Chi corre non si può accontentare di un 12° posto assoluto anziché portare a casa una coppa – arrivando comunque a metà classifica – svuotata dal suo senso?

È abbastanza comico vedere i risultati delle qualifiche dove team amatori stanno regolarmente davanti ai pro. E allora la nostra domanda è:

Ma se bisogna proprio assegnare quelle tre coppe che avanzano, non sarebbe meglio orientarsi su metriche misurabili oggettivamente e alla portata di tutti?
Il pit più veloce, il maggior numero di posizioni recuperate in gara, o…

Ci fermiamo qui. La nostra parte l’abbiamo fatta, a questo punto sta agli organizzatori impegnarsi per offrire gare migliori e con contenuti sportivi di maggior valore. Perché, che sia un’attività economica o un passatempo, sempre di sport stiamo parlando.

E forse non starebbe a noi fare queste considerazioni.

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