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Non chiamatele gare della parrocchia

Andrea Turato in bagarre

La qualità di una categoria può essere giudicata in base tipo di mezzo che la caratterizza, o c’è di più?

Qui parliamo di: endurance, karting, Rental
Prossima gara

Al momento non ci sono gare in programma.

Ogni anno, a ottobre, ci piace analizzare alcuni aspetti del mondo endurance o rental per capire se si può migliorare questa categoria. Ottobre è un buon momento per fare queste considerazioni: la stagione volge ormai al termine, si cominciano a tirare le somme di quanto fatto fino a tal punto e si disegnano i primi progetti per l’anno venturo.

Questa volta però non vogliamo parlare di tecnicismi delle gare (ne abbiamo già discusso qui e qui), ma di tutto l’ambiente rental in generale, e di come talvolta esso venga sottovalutato.

Ok, ma di cosa vogliamo parlare?

Del karting e del ruolo che il rental si sta guadagnando, con un approccio umile ma prepotente nei numeri: basti pensare ai 45 team presenti alla 6 ore di Lonato a luglio, ai 42 team in gara alla 24 ore di Jesolo, o dei 56 (!!!) team iscritti alla finale della Summer Series di Pomposa che hanno richiesto l’organizzazione di una seconda gara. E questi sono solo alcuni dei record – o dei trend comunque positivamente stabili – che queste gare stanno registrando; numeri che negli ultimi anni sono in crescita continua, con piste e organizzatori talvolta in difficoltà per riuscire a soddisfare le richieste di tutti. Il rental sta dilagando a tutti gli effetti portando in pista neofiti e riportando in gara appassionati o addirittura professionisti che avevano dovuto smettere per i più svariati motivi (primo tra tutti: i costi).

La scena: Finali Mondiali Sodi World Series. Un signore in abito elegante e scarpe di velluto, durante le gare Junior, parla con un papà: “Eh vede, questa è una bella manifestazione sì, però da qua poi non si va da nessuna parte, le gare vere sono altre”.
Domanda: – Perché, le altre categorie danno forse sbocchi? Ma se neanche i migliori piloti di F2 riescono ad avere sbocchi solo sulla base dei risultati, in quanto in ogni categoria bisogna comprarsi il sedile, ha senso parlare di sbocchi? O si tratta forse di truffe per portarsi a casa dei clienti ben dotati economicamente e spellarli facendo leva sulle loro ambizioni?

Giovanni Magnabosco in bagarre

“Sono solo gare tra amici su dei tagliaerba”

È vero, ma solo in parte. Sì, i kart sono poco potenti, spesso non esattamente equiparati (tanto, quando si vince è per merito proprio e quando si arriva dietro è colpa del kart), sono pesanti e lenti. Lenti fino a un certo punto, provate a fare un frontale come ha fatto il nostro Marco a Lonato, o a venire spediti nel gruppo in piena velocità com’è successo al povero Andrea a Pomposa, poi fateci sapere se vanno così piano. E poi hanno le protezioni, sono delle macchinette, mica kart quelli lì…

I kart

Il fatto è che un kart a quattro tempi non ha la velocità e la tecnologia di un kart a due tempi (e per fortuna!), ma rimane comunque un mezzo insidioso: non c’è un motore pronto a darti cavalli quando sbagli qualcosa, non hai la telemetria che ti dice cosa e dove sbagli, non rischi fratture multiple se ti tocchi con gli altri (anche se più di qualcuno ne approfitta un po’ troppo…) e quando piove si gira con le gomme lisce, niente battistrada scolpiti a drenare l’acqua.

I kart sono (in teoria) tutti uguali, tranne quando si arriva dietro: in quel caso c’era evidentemente un problema sul kart.

Nonostante questo non c’è niente di meglio che confrontarsi alla pari: solo così può emergere il talento puro; quindi chi viene da altre categorie, e denigra la nostra definendo i kart “tagliaerba“, avrà ragione solo su una cosa: la provenienza dei motori. Su tutto il resto, invece, è chiaro che ci sono degli stereotipi da abbattere.

Le gare

Sono combattutissime, densamente popolate da piloti e team esperti e particolarmente organizzati. È difficile fare bene al primo colpo, qui: bisogna capire come funzionano le gare, come guidare i kart e come gestire le strategie, i membri del team, la logistica.

Non è facile come sembra. Anche per questo quando si vince si è pronti a raccogliere i meriti, quando si arriva dietro si è pronti a dire “Ma sì, è la gara della parrocchia, non vale niente”. Ma ne siamo sicuri?

Qui ci sono degli atleti allenati e impegnati in una disciplina sportiva, dei mezzi da competizione, team con computer, collegamenti radio, attrezzature più o meno specifiche (cartelli box, macchinette del caffè, il necessario per dormire – e quest’ultima voce non va assolutamente data per scontata). Le gare sono gestite con telecamere a circuito chiuso su tutta la pista, bandiere elettroniche, sistemi di cronometraggio ridondanti con live timing e rilevazioni nell’ordine del millesimo di secondo. C’è una classifica per ogni sessione, a fine gara ci sono le premiazioni, non semplici strette di mano: siamo sicuri che stiamo parlando di gare della parrocchia? Perché vent’anni fa probabilmente lo erano, ma oggi la musica è un pochino cambiata.

Anche gli organizzatori stessi, talvolta, cadono in questa convinzione. Il problema è che dal momento che si paga una quota d’iscrizione, per quanto economica essa sia, bisogna garantire comunque uno standard qualitativo minimo: se comprate un televisore, che costi poco o tanto, a cambiare saranno le funzioni ma non la qualità. Se si rompe una tv da 15 pollici questa ha due anni di garanzia esattamente come un maxischermo 8K OLED.

Questo dovrebbe far capire abbastanza velocemente che la qualità va garantita indipendentemente dal costo del prodotto.

Cartello PIT

Ok, ma quindi?

Tutto questo per dire che sarebbe giunto il momento di rispettare questa categoria.

Le prestazioni dei mezzi non hanno nulla a che fare con la qualità della competizione in pista. Infatti, se non consideriamo i kart, tutto il resto è comunque di altissimo livello; ad elevare ancor di più il valore di questa disciplina ci sono i costi contenuti, e questo probabilmente a qualcuno fa paura. Proprio quei “qualcuno” che hanno portato i prezzi del karting a due tempi oltre ogni soglia ragionevole, causando una fuga generale degli appassionati e lasciando questo campo da gioco solo a figli di industriali e magnati dell’Est, e magari denigrando quelle aziende – una su tutte – che sul karting “dei poveri” ha costruito un business plan che si è tradotto in un successo mondiale.

Sarà per le nostre umili origini, ma il karting deve essere accessibile a tutti, ricchi e poveri. Non deve costare più qualsiasi altro sport; è vero che tutti gli sport più o meno costano (soprattutto se si vuole vincere), ma anche un operaio deve poter vivere la sua passione per le competizioni: era il sogno di Karl Abarth, la “democratizzazione delle corse”. E anche se la lobby dei ladri del mondo dei motori vuole farci credere che se non costa non è divertente, i numeri stanno dimostrando l’esatto contrario.

Può essere che un giorno questa parabola di successo imbocchi la sua fase discendente, ma speriamo che questo giorno sia lontano. Rispettate il mondo rental: sta rimettendo in piedi il karting, permettendo ad un sacco di persone di vivere un sogno.

Noi per primi.

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